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    LenzuoliSOSpesi: il ricamo come occasione di “presa di coscienza”

    25 Marzo, 2020

    Vi racconto di una performance collettiva svoltasi lo scorso novembre, dove il ricamo ha assunto un significato davvero speciale.

    In questi giorni nei quali si ha la possibilità di dar ampio spazio alla riflessione vi voglio raccontare di una esperienza che ho vissuto lo scorso novembre nella mia città.

    In occasione della giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne ho partecipato a un’iniziativa speciale pensata per ricordare all’opinione pubblica l’esistenza di una questione tanto drammatica quanto inaccettabile: la violenza di genere.

    Per tutta la settimana dal 25 al 30 novembre è stata organizzata una performance collettiva intitolata: Lenzuolo SOSpeso un filo rosso per non dimenticare, un filo verde per un futuro senza violenza.

    Tale performance è stata di natura itinerante: sono state coinvolte diverse sedi dell’Umanitaria (Milano, Roma, Napoli, Alghero, Carbonia, Cagliari) con lo scopo di sensibilizzare in modalità partecipativa il pubblico all’attuale dramma della violenza di genere. Questa iniziativa è stata ideata dall’artista Silvia Capiluppi.

    L’artista ha invitato il pubblico a partecipare all’iniziativa “ricamando” con un filo rosso il nome di una donna vittima di violenza. Per tutta la settimana, in piena libertà, chiunque ha potuto aderire all’iniziativa, ricamando un nome, ricordando una vita. Il nome ricamato di una donna, quindi, rappresenta la volontà di mantenere indelebile il ricordo della sua storia.

    Il ricamo è “esercizio di lentezza” come sovente amo ricordare. Ricamare è quindi anche una occasione per rallentare e per dare ascolto alle emozioni che ci abitano quando sentiamo parlare di violenza di genere. E’ occasione per capire come trasformarle in riflessione più profonda e in impegno ad agire. Ciascuno per la sua parte e secondo le sue possibilità.

    Io ho ricamato il nome “Libera”. In verità non è il nome di una donna che ho incontrato e di cui conosco la storia. Libera è il nome simbolico che ho voluto dare alle migliaia di donne che ho incontrato e che, per la loro storia culturale, sono vittime di violenza più o meno consapevole.

    Con il mio lavoro ne ho incontrate tante. Di pochissime di loro ho conosciuto il nome ma poco importa. Ho passato alcuni anni della mia vita incontrando donne alle quali venivano negati i più fondamentali diritti. Donne che potevano guardare il mondo solo attraverso la rete del loro burqua. Loro stesse ricamavano questa rete come un vezzo, ma dubito ne fossero davvero fiere… Per me, di ciascuna, il loro nome era “Libera”.

    donne afghane (Maymaneh, autunno 2002, foto del mio amico teo)

    Cosa ne sarà dei lenzuolisospesi ricamati? Ancora non lo so ma intanto l’iniziativa dilaga: lo scorso febbraio al Consiglio comunale di Milano si è ricamato il 68esimo lenzuolo e altri sicuramente ne verranno. Seguiamo l’artista Silvia Capiluppi e il sito dell’iniziativa www.lenzuolisospesi.com.

    Tutto qui: niente di più semplice. Fermarsi a pensare per poterci chiedere in quale modo e in quale forma ciascuno di noi può fare che sia diverso.

    Perché un pensiero di oggi costruisce un’azione di domani. Aspettando il prossimo lenzuolosospeso…

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