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    Le donne migranti honduregne si riscattano dalle violenze subite anche con l’arte del ricamo

    10 Febbraio, 2020

    Zinacantan, Mexico – November 8, 2013: Tzotzil Maya culture
    Ho letto questo articolo molti mesi fa proprio mentre cominciavo a strutturare il mio lavoro di insegnante di ricamo e sartoria di base in un contesto di cura alla fragilità psichica. Ho sentito che in qualche modo la strada che stavo percorrendo era quella giusta: bisognava esplorare questa dimensione, ancora una volta al ritmo lento del “punto dopo punto”…

    Ancora prima di parlarvi direttamente della mia esperienza, ho pensato che valesse la pena condividere questo importante contenuto. Valarie Lee James, coordinatrice volontaria di attività artistiche presso il rifugio per migranti Casa Alitas a Tucson, in Arizona, mi ha concesso con entusiasmo di pubblicare la mia libera traduzione del suo scritto sul mio blog. Ecco le sue parole.

    Qualsiasi ricamatrice potrà dirvelo: ricamare guarisce lo spirito, un punto dopo l’altro. “È l’unica cosa che posso fare per placare la mia mente nelle ore oscure della notte, quando il sonno appare irraggiungibile”. Per alcune donne che sono state oggetto di violenze brutali in Honduras, lavorare all’uncinetto o ricamare è fondamentale per tenere a bada i demoni più terribili. E rappresenta un’ancora di salvezza per costruire il proprio futuro allontanandosi dalla paura.

    Sono volontaria in un rifugio per richiedenti asilo a Tucson, e solo di recente ho compreso la reale portata delle conseguenze degli abusi che le donne in Honduras subiscono, da un articolo del New York Times di Sonia Nazario. Di norma violentate, torturate e infine assassinate, non di rado i loro corpi finiscono per essere scaricati ai bordi delle strade finendo per essere trovati dai bambini che giocano.

    Tra le parole dello straziante articolo della Nazario viene riportata una commovente immagine: una fotografia ravvicinata delle mani di una donna che ricama un uccello in volo. Sono quelle della fondatrice di un centro per le donne vittime di violenza nella città honduregna di Cholomathatserves. Le donne afferenti al centro, mentre viene loro insegnato come tutelare i loro diritti, vengono incoraggiate anche a ricamare e lavorare all’uncinetto e produrre manufatti destinati alla vendita.

    Queste donne in fuga verso nord, portano spesso con sé un piccolo cimelio realizzato a mano dalle donne della famiglia che hanno dovuto lasciare alle spalle. Nella fuga capita che perdano i loro piccoli tesori lungo il percorso, ma di certo non perderanno mai le conoscenze trasmesse dalle loro madri durante l’infanzia.

    Un giorno ho trovato un centrino rotondo all’uncinetto nel deserto vicino al confine tra Arizona e Messico, appena fuori il recinto della mia fattoria. Rappresentava una stella marina con al centro un pianeta. Il bordo blu, rimasto incompiuto, era ancora attaccato alla bobina di filo avvolta su un piccolo fuso. Un pensiero commuovente: durante i giorni da migrante, una donna, in mezzo al deserto dell’Arizona, lavorava all’uncinetto.

    Sono io stessa testimone della potenzialità curativa del ricamo e del lavoro all’uncinetto a casa Alitas, un rifugio per migranti situato in un ex monastero benedettino, nei gruppi di ricamo ai quali partecipano donne, ma anche alcuni uomini, vittime di violenza. Alla fine di un lungo corridoio adibito a dormitorio dalla Croce Rossa c’è una sala per le attività, un vero lusso per un centro di accoglienza in area di confine.

    La stanza veniva utilizzata per il cucito anche dalle suore benedettine che qui vi hanno vissuto per più di 80 anni, prima che il convento fosse trasformato in centro d’asilo. La luce naturale penetra attraverso finestre trasparenti verso un grande tavolo dove si possono imparare i primi rudimenti di inglese, dove i bambini disegnano e le madri, con i più piccoli in grembo, ricamano e lavorano all’uncinetto appena possono. I bambini strillano nei corridoi ma in questa stanza c’è silenzio come in un santuario. Un luogo di immaginazione che è balsamo per migranti stressati ed esausti.

    Queste donne sono profondamente provate ma al tempo stesso sembrano ansiose di mettersi al lavoro con tessuti e filati. Tutte loro portano cicatrici indelebili ma nonostante tutto continuano a coltivare la pazienza con il lavoro manuale che restituisce forza e capacità di resilienza per affrontare un nuovo giorno. Le donne lavorano insieme, come faceva mia nonna negli Appalachi, donandosi supporto reciproco per riuscire a superare i momenti difficili della vita. Anche nella cultura latinoamericana, l’amicizia e il rispetto tra donne, costituisce il fondamento della famiglia e della comunità.

    Quando mi reco al centro di asilo porto con me un ricamo di mia madre che non c’è più. Condividerlo e ricamare con le donne del centro mi mette in profonda connessione con tutte loro. Sorridono e annuiscono, il loro sguardo si ammorbidisce e le loro spalle si rilassano: molte di noi hanno perso le madri e i luoghi della nostra infanzia. Ricamare e lavorare insieme all’uncinetto permette a tutti noi di mantenere vivo il ricordo di chi abbiamo perso. 

    Le donne creano i loro progetti prendendo spunto dai libri e disegnando motivi di uccelli, farfalle e fiori su pañuelos di cotone (fazzoletti). Scelgono attrezzature e materiali di cui avranno bisogno (aghi, filo e un telaio da ricamo) e che porteranno con loro anche nell’ultima parte del loro viaggio, verso i centri di accoglienza negli Stati Uniti, dove continueranno il loro lavoro. Sono abili artigiane con molto da insegnare, ricamano e lavorano all’uncinetto con mani rapide e sicure proprio come quelle che hanno realizzato il centrino blu trovato nel deserto.

    Ci sono altri ospiti, invece, che, essendo troppo esausti per creare il loro progetto, scelgono di partecipare ad un progetto di ricamo di gruppo che stiamo realizzando su un grande panno di cotone. Vi è disegnata Nostra Signora di Guadalupe, simbolo di tolleranza e resilienza femminile di fronte alle difficoltà.

    Siamo tutti artigiani. Il bisogno innato di creare con le mani deriva dalla nostra naturale tensione alla pace, alla sicurezza e alla libertà dalla paura. Trasformare ciò che è brutto in qualcosa che, anche simbolicamente, ci conduce verso il “bello” è spesso necessario per trascendere il presente, proprio come fanno i bambini migranti quando disegnano uccelli in volo.

    Gli uomini desiderano un nido e amano prendersene cura. Siamo pieni di inventiva quando vogliamo abbellirlo sia che ricamiamo tovaglioli per le tortillas o tessiamo tappeti per le tende beduine. La nostra naturale tendenza alla creatività ci ha sempre salvato dalla ferocia. Non sorprende quindi che in un recente messaggio da un rifugio a Nogales, in Messico, a 60 miglia a sud di Tucson, dove le famiglie aspettano settimane o mesi un colloquio per ottenere il permesso di asilo, non ci fosse solo la richiesta di cibo, vestiti e coperte. Le donne hanno richiesto anche aghi, uncinetti e fili colorati.

    Ringrazio davvero Valarie per avermi permesso di pubblicare la traduzione delle sue parole e delle sue immagini che potrete trovare qui nella loro versione originale. E spero che, in questa traduzione, sia sia stata all’altezza…

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