Valtopina: un evento biennale imperdibile per i ricamatori. Un festival concepito come un connubio di creatività, cultura e tecnica: ingredienti imprescindibili per un lavoro artigianale di qualità in prospettiva 2.0.
Ho deciso di partecipare alla XVIII edizione della Mostra del ricamo a mano e del tessuto artigianale di Valtopina per non smettere mai di imparare. Torno con l’insegnamento più prezioso che ho ricevuto negli ultimi tempi: il lavoro artigianale non può prescindere da creatività, tecnica e cultura. Tutti e tre questi elementi devono coesistere nel quotidiano di ogni artigiano, declinati secondo talento, sensibilità e personalità del singolo. Ma andiamo con ordine e partiamo dall’inizio.
L’approdo
Anche questa volta scelgo di accondiscendere alla mia naturale tendenza intimista: di giorno lavoro, studio e mi relaziono, la sera torno da me e faccio tesoro a mio modo di quello che ho sperimentato. Per questo per la sera serve un luogo solitario e di pace e lo trovo al Rifugio dell’angoletto de Pale di Martina e Carlo.
Arrivo di giovedì e cammino lentamente sui rilievi nell’intorno, mi riposo all’Eremo di Santa Maria Giacobbe e rinfresco i piedi nell’acqua gelida delle cascate del Menotre. A sera, distrutta ma in pace, mi addormento ancora prima dell’ora di cena.
Valtopina è a 15 minuti di macchina da Pale, una distanza e un tempo perfetti per entrare nella giusta dimensione interiore e per inondarsi del verde argentato degli uliveti umbri.
La creatività
Il venerdì è una giornata interamente dedicata al cuore, muscolo fondamentale alla creatività e al suo nutrimento costante.
Arrivo, mi oriento e mi organizzo con la mappa alla mano. La mia anima geografica mi porta ad amare moltissimo le manifestazioni “diffuse“, i festival dove ogni attività si svolge in un luogo diverso consentendo a chi vi partecipa di sperimentare un’atmosfera itinerante, nomade; metafora ideale sulla necessità di muoversi per cercare le cose che contano. Valtopina è organizzata così: in questo settore la manifestazione “diffusa” ha un non so che di perfetto.
Comincio dal Museo del Ricamo e del Tessile. Questo museo custodisce una raccolta permanente, costituita da splendidi manufatti che descrivono principalmente la tradizione del ricamo umbro, e una raccolta di opere concepita per l’occasione dal titolo “Textile Idea: intrecci tessili“. Il tema fondamentale della mostra è l’arazzo ricamato e il punto di partenza di questa ricerca è la “Composizione neobizantina”.
La “Composizione neobizantina” è un arazzo eseguito nella prima metà del ‘900 da Leandra Angelucci Cominaccini, artista futurista di Foligno. La particolarità di questo manufatto, e della maggior parte delle opere esposte, è quella di essere realizzato con la tecnica Hispellum, brevettata dall’artista proprio in quegli anni.
Mi sposto al Padiglione A del Palasport dedicato alle esposizioni dei ricamatori di oggi. Prima di accedere all’area dedicata agli stand vi è una mostra dal titolo “Teorie tessili” curata da Rosalba Pepi. In questa mostra sono presentati arazzi e complementi d’arredo realizzati secondo una rivisitazione in chiave attuale della tecnica Hispellum.
La tecnica è in apparenza semplice: si tratta di produrre rotolini di tessuto e di fissarli su una tela di appoggio con un punto posato doppio seguendo la traccia di un disegno precedentemente concepito. Nonostante il “taglio” grossolano, questa tecnica riesce a rappresentare magnificamente infinite tipologie di immagini giocando certo sull’originalità dell’immagine stessa, ma anche sui diversi effetti ottenuti dal tipo di stoffa utilizzata per i rotolini e sul gusto estetico degli accostamenti cromatici nell’interpretazione del disegno di base.
Poi entro nel padiglione degli stand dei ricamatori: osservo la creatività degli altri e lascio libero spazio alle emozioni. Guardo le proposte e imparo dal modo degli altri di raccontarsi e regalare le proprie opere allo sguardo dei curiosi e degli appassionati. Mi domando incessantemente: “come la loro creatività stimola e alimenta la mia?” Osservando, immagino e sogno come sarà il mio stand quando anche io parteciperò a queste fiere, dall’anno prossimo secondo i miei progetti. Mi chiedo che cosa sarà necessario esporre, che cosa attirerà l’attenzione e di chi, quale sarà l’ordine necessario…
Non mi dilungo sulla descrizione degli stand che osservo (nemmeno quelli del Padiglione B dedicato alle proposte commerciali) perché il repertorio è troppo vasto per fornire una descrizione coerente. Mi permetto tuttavia di citare due stand che mi hanno appassionato particolarmente.
Il primo è quello di Ildico Dornbach che propone filati e piccole quantità di tessuti tinti con tinture naturali. I filati sono meravigliosi e già li conoscevo, ma in questo ambito ne ho approfittato per qualche acquisto consapevole e per scambiare due chiacchiere con questa simpatica artigiana. Mi racconta che sta per andare in pensione ma che sta passando il testimone a Anika Egeling di Krakelei. Fate un giro sui loro siti: vale la pena provare i loro filati, meravigliosi al tatto e alla vista.
Spendo anche due parole per un altro stand che per varie ragioni mi ha fatto estremo piacere trovare, quello della onlus Cooperaction. Il responsabile, Alessio, mi racconta in dettaglio le caratteristiche del progetto “Fazzoletti di Pace” e mi coinvolge intimamente perché riguarda donne e bambini afghani. Voi l’avrete intuito che l’Afghanistan è il mio luogo del cuore e ritrovarne un pezzetto a Valtopina è stata un’emozione fortissima. Vi dico in sintesi due parole sul progetto: i bambini di un orfanotrofio di Kabul hanno realizzato dei disegni a rappresentare i loro pensieri, le loro storie, i loro sogni e alcune donne della associazione OPAWC li hanno ricamati su fazzoletti di tela. La guerra è l’elemento preponderante nell’animo dei bambini ma in ogni punto ricamato da ogni donna c’è, silenziosa, la rivendicazione della propria libertà di esprimersi, lavorare, guadagnarsi da vivere in autonomia e secondo le proprie capacità.
Quanta vita e quante attese in quei piccoli e semplici fazzoletti…
La cultura
Oggi, sabato, la giornata è interamente dedicata alla testa, a ciò che la nutre e la rende attiva, feconda e brillante: la cultura. Ma come si fa cultura in un ambito dall’accezione così “manuale” come il ricamo? Studiando e ricercando connessioni tra i saperi che strutturano o sfiorano l’attività del “ricamare”, del realizzare un manufatto ricamato.
E sulla ricerca di connessioni tra i saperi si imposta la conferenza di studio “Discorsi tessili” e anche in questo caso il punto di partenza è l’arazzo “Composizione neobizantina” di Leandra Angelucci Cominaccini. Si propongono tre interventi interessantissimi di altrettante autorevoli studiose.
In sintesi:
- la Dott.ssa Giordana Benazzi, storica dell’arte, contestualizza storicamente e artisticamente l’opera, fornendo anche notizie preziose sull’affresco che ha ispirato il manufatto, con significativi riferimenti al contesto storico e culturale del periodo di realizzazione dell’affresco stesso. Mi interessano moltissimo le simbologie sottese alle figure animalesche rappresentate, importante occasione di ripassare nozioni di storia dell’arte del medioevo e collegare frammenti di emozioni provati qua e là di fronte alle opere del tardo medioevo che tanto mi affascinano.
- la Dott.ssa Emanuela Cecconelli, avendo curato la catalogazione dei documenti dell’archivio di Leandra Angelucci Cominaccini presso la biblioteca di Foligno, ci introduce nella conoscenza dell’artista stessa, della sua storia, della sua personalità e della sua arte. Ne emerge una figura di donna e di artista all’avanguardia per il suo tempo con una spiccata predilezione per l’indipendenza e l’intraprendenza, doti che mi stanno particolarmente a cuore.
- la Dott.ssa Valeria David della “Congrega” di Ancona, artigiana e studiosa, ci racconta cosa significa realizzare arazzi oggi e ci invita a riflettere sul significato del manufatto tessile come forma espressiva di un linguaggio simbolico ancora profondamente attuale.
Questo convegno è, oltre che estremamente interessante, anche particolarmente istruttivo, grazie all’abilità delle relatrici nell’interconnettere le loro conoscenze e nel fornirci spunti di riflessione sull’importanza del manufatto tessile come veicolo di simboli e significati.
Nel pomeriggio mi dedico interamente all’arteterapia, partecipando a tre laboratori nell’ambito del Gomitolo della Vita. Sono tre incontri con tema centrale “il filo”, nei quali arte terapia, tessile e narrazione si sono profondamente intrecciati. Il tema del filo propone metafore interessantissime sui quali intraprendere percorsi di riflessione e ricerca su miti e valenze simboliche.
Si parla di trame di memoria, di mito della donna ragno, di fiabe e di libertà di esprimere la propria imperfezione, di manifestazione della propria autenticità. Si preparano manufatti d’istinto giocando con filati, stoffe, bottoni e perline di ogni colore e misura: prometto di approfondire il racconto con maggiori dettagli in un prossimo post. Vivo un’esperienza intensissima e molto arricchente anche perché guidata dalla bravissima Tiziana Luciani, psicoterapeuta, formatrice e docente in arteterapia.
La tecnica
La domenica è il giorno delle mani, delle loro capacità e della loro assertività alla tecnica.
Mi regalo questi giorni con l’idea di cominciare a presentarmi al mondo e con l’intento di vincere almeno un pochino la mia naturale tendenza all’introversione che tanto amo ma che tanto mi limita, talvolta. Per questo ho raccontato la Broderie d’Art, una tecnica notoriamente poco presente in eventi come questi, partecipando in prima persona al XVII Concorso “Ricamare l’Umbria”, “Il filo della speranza”.
Ho preparato un ricamo che viene esposto in una delle sale del Padiglione A. Si tratta una tela di organza ricamato con diverse tecniche apprese alla Lesage con un disegno che interpreta il testo della canzone “Per uno come me” dei Negramaro. Il tema del concorso infatti è la migrazione, intesa sopratutto come apertura al differente nel rispetto della dignità umana. Tema attuale e coraggioso di questi tempi, nonché profetico al tempo in cui il concorso è stato concepito.
Il ricamo che ho realizzato ve lo illustrerò e descriverò in un post dedicato, per ora ci tengo almeno a mostrarvi il manufatto che in questa domenica vince su tutti: un capolavoro di tecniche di ricamo e merletto di Mariagrazia Giacomini. Non aggiungo niente e ve lo lascio semplicemente contemplare.
Il manufatto vincitore del concorso “il filo della speranza” eseguito da Mariagrazia Giacomini
Educo poi occhi e mani con ai lavori artistici di Ilaria Margutti nell’ambito di una mostra dal titolo “Fioritura estrema”, che trovo semplicemente meravigliosi. Dal 2007 l’artista ha introdotto il ricamo nella sua ricerca e nelle sue opere interpretando intimamente il significato del “filo”, raccontando nelle sue opere la sua “forza invisibile, silenziosa e imperturbabile che non ha mai avuto voce nei linguaggi artistici definiti dalla storia dell’arte, eppure dietro questo infinito elemento si nasconde la narrazione delle nostre origini” (I. Margutti). Le opere rappresentano volti di donne che l’artista ha incontrato e che le hanno raccontato la loro storia, le loro ferite e le loro speranze. Sono opere a tecniche miste dove ricamo a macchina, ricamo a mano e pittura si compenetrano perfettamente.
L’esperienza a Valtopina si conclude con un workshop tenuto da Rosalba Pepi. Potevo non dedicarmi ad un evento formativo in una esperienza del genere? Ovviamente no: per questo già da prima di partire ho prenotato la partecipazione ad una sessione formativa per imparare la tecnica Hispellum. Un’esperienza molto interessante, una tecnica per la quale intravedo potenzialità espressive davvero preziose. Mi cimento nella realizzazione di una fogliolina imparando qualche piccolo segreto ma il tempo a disposizione non è mai abbastanza e non mi consente di terminare l'”opera”.
Alla fine di questo momento ritorno al museo a alla mostra del Padiglione A: guardo gli antichi lavori di Leandra Angelucci Cominaccini e quelli più moderni del gruppo di lavoro che ha prodotto i manufatti delle “Teorie tessili” con occhi nuovi e ri-fotografo ogni minimo dettaglio per fissarlo nella mente e nel cuore.
Al termine di tutto, resta una sola grande certezza: tra due anni, al prossimo evento a Valtopina, ci vorrò essere con il mio stand.