Ecco il tentativo di raccontare un punto di osservazione per me assolutamente nuovo, descrivendovi un tassello del percorso di ricerca della mia “identità creativa”.
Come vi descrivevo in diversi post (qui il primo, il secondo e il terzo, se siete interessati o se vi sono sfuggiti) ho seguito una formazione, della quale vado assolutamente fiera, presso l’Ecole Lesage di Parigi. Formarmi a questa scuola mi ha educato ad uno sguardo sui ricami per gli abiti. Le tecniche che ho appreso vengono utilizzate prevalentemente sulle opere della haute-couture con una maestria e un talento creativo senza pari.
Perciò ho provato ad osservare gli abiti delle sfilate di alta moda di Parigi per la primavera-estate 2018 con la consapevolezza che, se nulla è lasciato al caso, c’è un significato intrinseco, una dimensione coerente, che la mia sensibilità e il mio gusto desiderano identificare e descrivere. Così ci provo.
Sul sito di Vogue Italia ho identificato gli stilisti che hanno proposto abiti ricamati nelle loro sfilate; di ogni stilista ho identificato tre capi ricamati che mi sono sembrati speciali per originalità dello stile, complessità delle tecniche e abilità nella gestione di materiali tradizionali e innovativi. Seguendo il mio gusto e le mie sensibilità personali, ho messo insieme queste immagini e ho cominciato ad osservare i dettagli che la scala delle foto mi consentiva e a fare qualche piccola considerazione.
In questo post vi ripropongo le immagini sulle quali mi sono fermata a ragionare, sperando di non far nessun tipo di danno in termini di copyright (sono tutte immagini tratte dal sito di Vogue Italia, di mio, a parte l’accostamento, ovviamente non c’è nulla). Così, un tassello in più per raccontarvi della mia ricerca, del mio percorso formativo anche, e forse soprattutto, da autodidatta.
Gli stilisti che utilizzano i ricami si possono dividere, secondo me, in due fondamentali categorie:
- coloro che ornano
- coloro che raccontano con l’ornamento.
Nelle fotografie che ho osservato, la maggior parte degli stilisti orna. Qualcuno, invece, racconta.
Raccontare con il ricamo significa ritornare alle origini del ricamo stesso.
Nelle società primitive la “sacra arte dell’ornamento” si esercitava con il simbolismo dei tatuaggi, raccontando sulla pelle credenze e superstizioni connesse alle cosmogonie e al ciclo della vita. Con la scoperta delle fibre si cominciano a produrre filati e poi tessuti. Ci si veste e quindi ci si copre: l’ornamento passa allora dalla pelle ai tessuti ed ecco che si sviluppa l’arte del ricamo.
Ogni cultura ha evoluto il proprio sistema di simboli che include, oltre alle rappresentazioni in senso stretto, anche una scelta orientata di materiali e colori. Anche oggi in diverse culture poco contaminate dal commercio e dalla moda, il ricamo non segue solo libere interpretazioni individuali ma si imposta nel solco delle tradizioni riproducendo in veste rinnovata simbologie da sempre carichi di significato. Così il ricamo “racconta” una cultura e la storia di chi lo rappresenta.
Entrare in maniera più approfondita in questa dimensione teorica così complessa richiede ancora molto studio da parte mia e per il momento vorrei evitare di perdermi in semplificazioni eccessive. Posso però dire che qualcuno degli stilisti che ho osservato secondo me ha raccontato una storia.
Lo storyteller per elezione è per me la maison Christian Dior con i capolavori di Maria Grazia Chiuri. Sono le sue stesse parole a svelare ciò che per me era solo un’intuizione: il filo conduttore, il racconto sotteso a questa serie di abiti, è il rapporto tra Monsieur Dior e il surrealismo. Lo stilista ha vissuto in pieno l’avanguardia di questa corrente artistica veicolandone a suo modo simboli, significati e pensiero teorico.
Gli abiti oggi propongono il racconto di questo aspetto della vita dello stilista con i colori prevalenti del bianco e nero, caratteristici dell’inconscio; con l’elemento simbolico della gabbia in varie declinazioni come richiamo alla libertà dalle convenzioni; con rappresentazioni oniriche stilizzate e fortemente surreali; con l’immagine del corpo di donna nudo a declinare il senso profondo della femminilità, quale musa eterea ispiratrice di passione e fantasia; con la maschera che non nasconde ma svela l’essere più profondo, consentendoci di rappresentare al mondo la versione più autentica di noi stessi, la nostra unicità.
I ricami sono allora a pennello e ad ago, sobri e perfettamente integrati al disegni o alle trame del tessuto, fatti rigorosamente a mano e quasi sempre monocolore tono su tono, con la semplice quanto autentica funzione di conferire luce all’insieme. Particolare è la rappresentazione del corpo femminile nudo, tutto giocato in un coerente concatenamento di paillettes di differenti sfumature, senza tracce nette ma solo ombre a sottolinearne la tridimensionalità.
Un’altra maison che secondo me racconta è Schiaparelli. Gli abiti proposti raccontando di uno sguardo su mondi lontani, carichi di significati e di linguaggi da interpretare. Oltre l’ornamento c’è l’intenzione di esplicitare il valore del simbolo indipendentemente dal messaggio che porta e che pare essere lasciato all’interpretazione di ciascuno. Insetti, serpenti e geometrie: colgo simboli dell’europa classica, dell’oriente nascosto e delle americhe dimenticate. Uno sguardo che abbraccia i colori e le intenzioni della diversità. I ricami abbracciano tantissime tecniche e tantissimi materiali: una vera meraviglia.
Interessante notare che entrambe sono maison “storiche”, fondate cioè nei primi decenni del ‘900 e che entrambi i loro fondatori hanno vissuto pienamente l’avanguardia surrealista. Per entrambi quindi il valore del simbolo è stato fondamentale nella loro espressione creativa fin dalle origini. Entrambi, infine, possono essere considerate figure artistiche di grande rilievo, coraggio e intraprendenza che hanno segnato in maniera indelebile la storia della moda tra gli anni 30 e 50.
Gli altri stilisti, secondo me, ornano.
In maniera sublime, non c’è dubbio; ma l’istinto non mi fa cogliere l’essenza di un messaggio specifico. I ricami sono meravigliosi: ecco tutto. E non sono parole che tolgono valore all’arte e alla maestria evidentemente mostrata. E’ una mia constatazione, basata sulla mia sensibilità e il mio gusto.
Tra loro resto incantata soprattutto da Chanel e da Elie Saab. Entrambi, scegliendo l’universo floreale come dimensione privilegiata di suggestione e ispirazione per i loro ricami, rigorosamente a mano, confermano la capacità di raggiungere tecnicismi sempre più originali e complessi mediante la manipolazione con tecniche classiche di materiali sempre più innovativi.
“Dipingo i fiori per non farli morire“, diceva Frida Kahlo, ed è vero che chiunque ami la bellezza dei fiori non possa fare a meno di apprezzare questo originale modo di renderli eterni, tramutando la loro natura effimera in permanenza. Praticamente tutti gli stilisti hanno fatto appello al linguaggio immaginifico dei fiori per esprimere la loro creatività e la loro tensione alla bellezza.
In una dimensione intermedia situo gli ornamenti di Dolce & Gabbana. La scala delle foto non mi permette di identificare con chiarezza i dettagli tecnici di realizzazione dei ricami. Ad ogni modo prevalgono le tecniche dell’applique oltre alle tecniche classiche con perline e paillettes e quelle utilizzate per il ricamo in oro.
Il singolo abito disegnato e concepito da questi stilisti difficilmente racconta una storia o esplicita un significato simbolico: è il loro insieme, l’intero corpo della sfilata, a raccontare un’idea, un’immagine ispiratrice, un frammento di cultura da evidenziare e rappresentare. Ogni abito ne veicola, ciascuno a suo modo, questo significato generale e coerente. Quest’anno è il tempo della cultura “a stelle e strisce”, o almeno io lo interpreto così.
Interessante questo esercizio: ci riproverò tra un paio di mesi osservando gli abiti delle collezioni autunno-inverno 2018-19. Si è capito che Dior è il mio stilista preferito e che Schiaparelli è uno “scrigno” interessante pieno di storia e idee ancora tutto da esplorare? Alla prossima!