In “materia” di ricamo sembra di avventurarsi in una dimensione senza confini. Ma questa arte minore non è che un insieme. E quando si comincia ad affrontarla come un insieme, semplicemente, il ricamo diventa un racconto da decifrare.
All’inizio ho vissuto un profondo senso di spaesamento, tipico di chi si ritrova con il “tutto” intorno ed è senza mappa. Parlare di “ricamo” mi è parso da subito come titolare un universo troppo grande, come quello che si intende quando si dice “matematica” o “geologia”.
Come potevo capirci di più? E’ triste ammetterlo ma, per la maggior parte delle intelligenze, anche oggi, parlare di ricamo significa solo evocare corredi della nonna finiti in fondo ad un cassetto in sofferenza per sindrome da rarità, quadri improbabili a mezzopunto dimenticati in cantina, pannelli da cucina a punto croce con colorate amenità.
Non molto tempo fa quando ho cercato di parlare ad un amico del percorso che stavo impostando, alla parola “ricamo” se ne è uscito con un sonoro “ah!” che, traducendo in parole non dette, intendeva dire: “ma sei folle? ti metti a fare la calzetta?”. La mia naturale tendenza a comunicare con persone dai linguaggi sconosciuti, sviluppata in giro per il mondo, mi ha abituato a riconoscere e decifrare molti tipi di linguaggio, spesso anche più eloquenti di quello delle parole…
Lo so che sembro parlare di tutto questo con un sentore di disprezzo, che di solito non mi caratterizza, ma dire “ricamo” è spesso evocare significanti desueti, stantii o comunque lontani dalla ricerca contemporanea del “bello e creativo”, cui la cultura che abitiamo ci ha abituati. Eppure, vi assicuro, che questo tipo di ricerca oggi la fanno anche tante nonne “illuminate”. Procediamo dunque con ordine.
Mi sono messa in ricerca per comprendere cosa voglia dire “fare ricamo” ora, in questo tempo, perché una concezione così ristretta mi lasciava insoddisfatta. C’era in me una spinta creativa che non riuscivo a decifrare, che si serviva di colori, tele, simboli, significati … e fili. E aghi. Questa era la vera scoperta che avevo fatto di recente: tenere in mano un ago mi permetteva emozioni particolari, sconosciute e curiosamente interessanti. Da esplorare, insomma.
Volevo trovare gli elementi di connessione tra i cosiddetti “ricami della nonna”, le evoluzioni tridimensionali col filo della textile art, i capolavori sugli abiti di Dior di Maria Grazia Chiuri, i ricami simbolici sui tessili afghani che posso accarezzare con le mie dita ogni giorno e quelli sugli antichi feltri siberiani che ho solo potuto contemplare da lontano. Tutto questo è ricamo. Come interpretare questa apparente, oceanica, diversità? Se esisteva una connessione, come potevo individuarla?
Ho cominciato ad osservare. Ho osservato tutto quello che il mio occhio era in grado di cogliere nella realtà concreta fatta di esperienze, immagini, storie. Ho assorbito esperienze e racconti, mi sono fidata di insegnanti passionali e capaci, ho recuperato libri ovunque ed ho cominciato a leggerli prima avidamente, poi con un criterio e un ordine che andava delineandosi nella mia testa con il procedere dello studio. Ho ricominciato a disegnare ed ho scelto di imparare ad usare i pennarelli per tracciare nuovi racconti. Ho imparato a montare un telaio e a tendere sete, cotoni, lini e canapa. Ho esplorato i filati, il vetro e anche l’odiata plastica.
Non ho trovato un filo conduttore, un significato, una teoria. Ho trovato un “insieme” in cui abitano tecnica, simbolismo, geografia e arte, compenetrandosi. Penso di aver capito una cosa importante: esplorare questo insieme è un percorso infinito, dove la comprensione non si arresta mai.
E non parlo dell’esplorazione del ricamo per quello che ancora non è. Non ho velleità artistiche né intraprendenza di questo tipo. La mia è un’anima artigiana, non artistica. Parlo invece di ciò che il ricamo è già stato o che è ora. Cogliere la sua rappresentazione “oggi” e “qui” è un lavoro infinito che si struttura su ciò che il ricamo è stato ieri e su ciò su cui si proietta domani. E quindi c’è storia, tradizione, cultura, significato, capacità, percezione, comunicazione, abilità ed esercizio di pazienza. Il ricamo è almeno tutto questo. Se si riconosce la coesistenza e la compenetrazione di tutto questo, si può osservare una tovaglia del settecento o un pannello da cucina a punto croce, un vestito di Valentino o il bordo del drappo in lana del guerriero Dauno del primo quarto del IV secolo a.C. con lo stesso stupore e rispetto, nella piena consapevolezza che in ciascun manufatto c’è un racconto da ascoltare.
E tutti noi sappiamo, consapevolmente o meno, quanto possa essere prezioso un racconto, quando riusciamo ad ascoltarlo. E a comprenderlo.