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    Una lampada millerighe ricamata con il crochet de Luneville

    27 Giugno, 2018

    Essere agili e veloci nel maneggiare il crochet de Luneville non è cosa da poco prima o poi è necessario un esercizio paziente di rigore assoluto.

    Sono tornata da Luneville con un discreto bottino per una ricamatrice in erba: un telaio a stagge bello e robusto, mezzo metro di tulle ecrù in cotone di primissima qualità, un crochet per le punte fini e uno per le punte grandi più tutte le punte (dalla 70 alla 120), fil pour dentelle classici (filato di cotone per merletto) titolo 36 e 100, sia bianco sia ecrù, marca Fil Au Chinois e Brok. Ma come vi avevo accennato a Parigi avevo fatto un salto anche alla merceria Sajou… E da lì mi ero portata a casa il mio regalo di compleanno: la collezione completa dei “bozzoli” dei fils dentelle marca Fil au Chinois in 72 splendidi colori in gradazione, titolo equivalente a un 80 DMC.

    Beh, avevo tutto: ho deciso che mi sarei semplicemente esercitata nella manipolazione dell’uncinetto perché, come ci è stato insegnato, una brava ricamatrice oltre a essere precisa deve anche essere veloce. Non mi sembrava il caso di cimentarmi in disegni complessi, avevo voglia di uno scacciapensieri senza infamia e senza gloria. Un semplice esercizio di precisione e velocità esplorando colori e accostamenti.

    E così ho deciso che avrei semplicemente utilizzato uno dopo l’altro tutti i bozzoli, tranne quelli con i colori sfumati, ricamando avanti e indietro, abituando la mia mano alla costante rotazione del polso e delle dita in due direzioni uguali e contrarie, e il mio occhio all’accostamento cromatico. Niente di più, ma niente di meno. Bisognava imparare a tenere in mano il lavoro e a dominarlo, se così si può dire.

    Ho lavorato per più di una settimana, ripetendo un gesto antico e costante con il crochet de Luneville: e così piano piano la mia mano destra si è abituata a roteare con destrezza su sé stessa mentre quella sinistra ad agganciare il filato con sufficiente maestria. E’ necessario specificare che mi ci sono voluti giorni prima che l’uncino smettesse di agganciare, non autorizzato, rispettivamente: il filato sotto il lavoro, il tulle sotto il lavoro, la catenella sopra il lavoro. E non vi racconto nemmeno dei milioni di punti che ho perso semplicemente ogni volta che mi si sfilava improvvisamente la catenella dall’uncino…

    Vabbè è un esercizio di pazienza che prima o poi va fatto. Esercitarsi per il gusto di esercitarsi. Portare pazienza per il gusto di portarla. Il primo giorno per fare una linea di punti di 20 centimetri mi ci è voluta un’ora, dopo una settimana qualche minuto mi è bastato. Non è stato banale nemmeno utilizzare un filato titolo 80 dato che al corso mi ero formata con il 100, il filato più è fine e meglio si manipola tra un foro e l’altro del tulle. Ma come in tutte le cose, la costanza prima o poi paga.

    Iniziato come un semplice esercizio, non avevo mai pensato di produrre qualcosa di utile o di carino. Man mano che le righe colorate si materializzavano sotto i miei occhi mi rendevo conto della potenza del colore. Al termine dello spazio preventivato sul tulle mi sono ritrovata con un “sorbetto” di cotone tra le mani e ho cominciato a pensare cosa potevo farne.

    Dettaglio del lavoro, fil dentelle su tulle a point de Beauvais (con errore…)

    Mi sentivo come una scolaretta che al primo giorno di scuola presenta con orgoglio alla maestra la sua prima pagina tutta di barre storte e tremolanti. A me quel pezzo di stoffa a “barre” piaceva molto e amavo ancora di più il simbolo che rappresentava: un piccolo traguardo nella progettazione del mio futuro, un paletto. Io e il crochet de Luneville cominciavamo a diventare complici. Già, perché per me il valore simbolico delle cose è intrinseco dappertutto; dove non c’è me lo invento… e poi lo sussurro.

    Il tulle non è facile da gestire per la sua trasparenza. In più la forma era inequivocabilmente fine a sé stessa, un rettangolo di 12 x 70 centimetri. Le ho pensate un po’ tutte anche se dovevo ammettere che la mia fantasia era un po’ arrugginita dagli eventi degli ultimi anni. Però mi sembrava non potesse essere nient’altro che una lampada. Non avevo mai realizzato un paralume da zero, quindi non avevo la minima idea di quale sarebbe stata la resa dei materiali utilizzati. Per questo era necessario affidarsi ad un “professionista della lampada”.

    Le mie peregrinazioni per la città alla scoperta di microcosmi di artigianato locale non mi avevano mai fatto imbattere in un “paralumaio”. Ho chiesto a mia suocera se ne conosceva uno in zona ma nemmeno lei, che vive qui da sempre, ricordava l’esistenza di un artigiano con queste abilità. Per cui era necessario partire da internet. Ovviamente mi sono lasciata interpellare solo da coloro che avevano una storia da raccontare e ho scelto la “paralumaia” con la storia più interessante: Clood. Vi esorto a curiosare sul sito della sua attività per farvi raccontare direttamente da lei come ha scelto questo mestiere e di come questo mestiere, in fondo, abbia un po’ scelto lei.

    Le ho portato il mio pezzo di tulle ricamato il pomeriggio di un sabato qualunque. Clood è molto appassionata del suo lavoro ed estremamente paziente con chi come me, non capendoci nulla di ciò che sta dietro la costruzione artigianale di un paralume, si è fatta spiegare praticamente tutto di dimensioni, materiali e prezzi. Ma anche dopo tutte le sue spiegazioni, come praticamente sempre accade, lascio a chi di competenza, nel senso vero e simpatico del termine. Le ho chiesto di scegliere quello che le sembrava opportuno per valorizzare il più possibile questo innocuo pezzo di stoffa ricoperto di banali esercizi colorati.

    Dopo un paio di settimane Clood mi ha chiamato per ritirare il lavoro: oggi sulla panca fatta da mio nonno negli anni 30 di fianco al letto spicca una semplice e coloratissima lampada stile hygge che porta con sé il racconto di un inizio e di diversi incontri. Uno tra questi è l’incontro con un crochet, sì. E questo incontro penso proprio sia stato il preludio della felice collaborazione che abbiamo oggi.

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